Un laboratorio teatrale in una casa di riposo per anziani, in un centro per senza fissa dimora, in un centro di accoglienza per richiedenti asilo.
La rilettura di una fiaba classica per raccontare la propria idea di casa: quella perduta, lasciata o da (ri)costruire.
Produzione:
Fabbrica Sociale del Teatro
Attori:
Patrizia Volpe - Roberto Capaldo
Produttrice:
Emma Mainetti
Regia video:
Nicola Zambelli
Con il sostegno di:
Fondazione Comunità Bresciana
Edizione 2019
Edizione 2020
Il progetto
CASAdolceCASA è un progetto ideato da Fabbrica Sociale del teatro e sostenuto da Fondazione della Comunità Bresciana che si è svolto da marzo a luglio 2019.
L’idea nasce da un’indagine sul concetto di casa, al di là delle quattro pareti e di un tetto.
Cos’è casa? Cosa significa? Quando ci si sente a casa? E’ sufficiente averne una? E cosa succede quando, per varie ragioni, non se ne possiede una o si è costretti ad abbandonarla?
Abbiamo individuato alcuni dei luoghi del territorio cittadino in cui questa tematica risulta essere particolarmente sentita: la casa di riposo e il centro diurno integrato di Fondazione Casa di Industria Onlus, che ospitano persone anziane che, non essendo autosufficienti, hanno dovuto lasciare la propria abitazione e spesso, in mancanza o lontananza di figli e nipoti, si ritrovano anche senza nucleo famigliare insieme ad anziani ancora autosufficienti ma in stato di solitudine; l’Associazione Dormitorio San Vincenzo De Paoli che ospita e si prende cura dei senza tetto della città; l’Asilo Notturno San Riccardo Pampuri Fatebenefratelli Onlus che accoglie sia i senza tetto che i migranti richiedenti asilo politico.
Abbiamo lavorato, attraverso dei laboratori teatrali, in tutti questi luoghi sul tema della casa, elemento e simbolo forte che accomuna tutti i partecipanti che, pur nella loro specificità, vivono tutti il trauma della solitudine e dell’allontanamento dalla propria casa, intesa come abitazione, come terra d’origine, come cerchia di affetti e, in definitiva, come comunità, utilizzando questo elemento comune come veicolo per una conoscenza reciproca e un’apertura verso l’esterno. Abbiamo scelto di veicolare questo racconto attraverso una fiaba, quella dei Tre Porcellini, che racconta, in maniera delicata e simbolica, tutto ciò che ritenevamo importante: la fragilità di ciò che si costruisce, l’essenza del lupo, o dei tanti “lupi” differenti che ciascuno di noi incontra, l’importanza della comunità e della solidarietà per potergli sfuggire.
I partecipanti ai laboratori, prima separatamente e poi tutti insieme, hanno utilizzato questa fiaba per raccontarsi, confrontarsi e stare insieme, riscoprendo vicinanze e affinità laddove inizialmente sembrava ci fossero solo differenze.
Il documentario
Il documentario CASAdolceCASA segue alcuni degli incontri avvenuti durante il laboratorio teatrale, cercando di soffermarsi sui gesti e sugli sguardi dei partecipanti, nel tentativo di astrarsi dal laboratorio da cui prende le mosse il racconto. Fin dall’inizio è stato scelto insieme agli attori coinvolti (Patrizia Volpe, Roberto Capaldo) e la produttrice (Emma Mainetti) che il video fosse altro dalla documentazione del percorso delle attività svolte. Al contrario, abbiamo cercato di far sì che il lavoro sulla fiaba scelta per il laboratorio (in una variante della fiaba classica dei Tre Porcellini) potesse funzionare per i partecipanti come un rispecchiamento su loro stessi e tra loro, grazie ad una storia e a delle figure attanziali semplici e comuni a varie culture (il rifugio, il lupo, la fratellanza e sorellanza, la comunità). A partire dalla fiaba, abbiamo cercato di dialogare con i partecipanti attorno ai diversi modi di intendere la “casa”, e da lì a ragionare sui temi coinvolti nella fiaba.
La drammaturgia delle immagini cerca di ritrarre un’astrazione della casa e della comunità, ritraendo scorci ed angoli della città di Brescia – molto evidenti ed iconici alcuni, più segreti e nascosti altri) – scomponendoli per costruire una sovrapposizione di frammenti.
Il filmato, attraverso la voce dei partecipanti, cerca di portare un nuovo senso alla variante della fiaba classica: in questa i tre porcellini sono due maschi e una femmina; la terza porcellina, invece di ripararsi dietro una casa di mattoni, costruisce un grande falò che protegge chi vi sta all’interno allontanando i lupi. Da quel fuoco riparte una nuova comunità di porcellini, che non temono il lupo e che non si lasciano addomesticare.
“La casa a volte è una sicurezza, ma a volte bisogna abbandonarla per diventare adulti, per cercare la propria libertà” suggerisce una delle voci narranti.
I frammenti di storia narrati dai partecipanti, e le loro riflessioni sulle diverse possibilità di “casa”, si soffermano sulla necessità della comunità, dando un senso del tutto personale al racconto, alla luce delle loro esperienze passate, spesso tragiche. Per tutti il sogno resta il medesimo: la famiglia, la vicinanza, la parola. Il coraggio che ci infondiamo gli uni gli altri, quando riusciamo a stare vicini. Lì non c’è bisogno di mattoni, nè barriere.